“Nella fotografia serve un’identificazione totale e serve il cuore, altrimenti manca tutto: bisogna scegliere un soggetto che si ama. Queste foto sono nate perché ero convinto di essere in paradiso, e avevo il dovere di testimoniare tutta quella bellezza“.
È l’amore nei confronti di una terra considerata sacra, un Eden da proteggere e da celebrare, a emergere nelle parole di Sebastião Salgado.
Il fotografo brasiliano porta al MAXXI di Roma l’unica tappa italiana del progetto Amazzonia, fino al 13 febbraio 2022.
Curatrice del progetto è Lélia Wanick Salgado, compagna di vita e direttrice insieme a Salgado dell’agenzia di stampa fotografica Amazonas Images.
Quella di Sabastião e Lélia, è una missione di vita.
Il grande fotografo è noto per il suo impegno come attivista per la tutela dell’ambiente e da sempre cerca, attraverso il suo lavoro, di portare avanti il messaggio ambientalista.
In questo caso lo ha fatto raccontando del suo Brasile.
Ogni fotografia venduta, ogni data del tour mondiale, ogni libro stampato è un passo più vicino alla salvezza delle 190 comunità indigene del grande polmone verde.
Chi è Sabastião Salgado?
Sebastião Salgado è considerato uno dei più grandi fotografi, a livello mondiale.
Nasce in Brasile nel 1944. Si forma come economista prima in Brasile poi in Francia.
In seguito a un viaggio in Africa si appassiona di fotografia. Da passione amatoriale, ben presto la fotografia diventa una vocazione e un progetto di vita.
Salgado trova subito una nicchia di cui diventa protagonista, documentando come i cambiamenti ambientali, economici e politici condizionano la vita dell’essere umano.
Ha lavorato su molti dei principali conflitti degli ultimi 25 anni, ma la sua opera più famosa rimane “La mano dell’uomo”.
Un colossale progetto sull’uomo e sul lavoro, realizzato in 6 anni viaggiando attraverso 26 paesi, una delle più importanti opere fotografiche del dopoguerra.
Cosa ci racconta la mostra?
Attraverso questo progetto il fotografo brasiliano vuole porre all’attenzione della collettività la necessità di salvaguardare le popolazioni native dell’Amazzonia e di tutelare l’intero ecosistema della foresta.
La mostra è frutto di sette anni di vissuto umano e di spedizioni fotografiche compiute con diversi mezzi.
Nel percorso l’autore ci rivela, attraverso oltre 200 incredibili scatti, un’Amazzonia non certo ferita, ma potente e maestosa. Permettendo al pubblico un ideale incontro ravvicinato con un mondo magico, ancora incontaminato.
La mostra si sviluppa in spazi che ricordano le ocas, le tipiche abitazioni indigene, evocando in tal modo i piccoli e isolati insediamenti umani nel cuore della giungla.
Un allestimento già encomiabile di suo dove al nero del buio, si alternano il grigio delle pareti e l’ocra rossa che ricorda le piccole capanne.
Ad accompagnare lo spettatore durante il percorso saranno le musiche del bassista brasiliano Rodolfo Stroeter e del compositore francese Jean-Michel Jarre ispirate ai suoni autentici della foresta, al fruscio degli alberi, ai versi degli animali, al canto degli uccelli e al fragore dell’acqua che cade a picco dalle montagne.
L’obiettivo è quello di far immergere il visitatore nella foresta, come se fosse avvolto dallo stesso ambiente, immerso nella vegetazione ma anche nella quotidianità delle popolazioni native.