In questi giorni non si fa che parlare, anche le telefonate hanno una media di oltre 30’, gli argomenti sono sempre gli stessi, anzi l’argomento è uno solo. Si alternano fasi di euforia generata dalla voglia di speranza ad altri di sconforto. Si confonde il vero con il falso, c’è una gran confusione ma all’improvviso inesorabili arrivano i bollettini che sono l’unica certezza , sempre che non entriamo nel merito dei criteri di calcolo, ora anche tra paese e paese. Tutto scorre troppo , troppo lentamente …la paura è che ci possa invadere l’apatia. E’ arrivato il momento, in questa fase di emergenza da coronavirus, di occuparci del rischio di “recessione sociale”.
L’epidemia di solitudine sociale è uno delle conseguenze possibili dell’isolamento “forzato” che sperimenteremo nelle prossime settimane. Il necessario distanziamento obbligato dagli altri, dai parenti, colleghi e amici, rischia di produrre un effetto equivalente a quello della recessione economica. La “recessione sociale” consiste in un collasso dei contatti sociali che è particolarmente duro per le popolazioni più vulnerabili all’isolamento e alla solitudine, senza considerare l’impatto che avrebbe sugli anziani, e sulle persone con disabilità o con precarie condizioni di salute preesistenti.
Fino ad oggi si è sempre parlato di recessione economica, dei flussi, di come si genera, di come si combatte ma difficilmente abbiamo parlato di crollo dei contatti sociali che più si prolungheranno e più, inevitabilmente, genereranno la più imponente delle recessioni economiche della storia. E se che cercheremo di combatterla con flussi di denaro più o meno a debito, accadrà quello che diceva Luigi Einaudi: «Chi cerca rimedi economici a problemi economici è sulla falsa strada». Aggiungendo: «Il problema economico è l’aspetto e la conseguenza di un più ampio problema spirituale e morale». Il rischio vero per l’Italia e per il mondo intero , allora, è che la recessione economica si accompagni a una ben più grave regressione sociale. E viceversa.
In questi giorni siamo tutti alle prese , come se fossimo tutti millennianls con riunioni o altre tipologie d’incontro in connessione digitale. C’è il rischio che per combattere la noia, la solitudine ci si organizzi momenti di vita quotidiana in digitale?
I nostri ragazzi lo fanno da una vita, i ragazzi di diversi paesi al mondo si sfidano alla play station per ore e ore, ma le altre generazioni, se escludiamo qualche chat di whatsapp piuttosto che strumenti d’incontro lavorativi, non avevano mai pensato di sostituire gli hobby e tutte le altre abitudini in digitale. Quindi tra un po’ sarà normale incontrarci all’ora dell’aperitivo davanti ad uno schermo con un calice di rosso in mano?
Sarà divertente invitare, attraverso uno schermo, amici e parenti ad una cena, allenarci con istruttori virtuali e tante altre cose a cui eravamo abituati e che siamo e forse saremo costretti ad abbandonare nella forma tradizionale.
Ma accanto a queste esperienze che si moltiplicheranno di giorno in giorno per allietare o alleviare le solitudini sociali rischiano di essere escluse le frange più deboli della popolazione, quelle che per condizione culturale, sociale e personale non possono trovare nelle risposte partecipative in rete una soluzione al cambiamento cui si sono trovate esposte da un giorno all’altro.
Senza contare anche per chi è sano nel pieno della vita, il prolungato isolamento potrebbe incidere sulla sua salute.
Sono ragionamenti tristi ma in questi momenti, come non si comprende nulla sul domani, anche la nostra mente alterna di continuo fasi umorali.